Marie Malherbe

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Via Crucis

Aggiunto il 6 feb 2017

Via Crucis 2017 nel Chiostro della Chiesa dei Serviti, Vienna (Austria)

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LOOK UP ! Mostra per il Carnevale di Venezia 2017

Aggiunto il 6 feb 2017

Mostra in occasione del Carnevale di Venezia

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Presentazione della mostra 'Danse avec l'Ange' da Francesca Brandes, Venezia, ottobre 2016

Aggiunto il 17 nov 2016

Riflessioni sul trittico 'Giacobbe e l'Angelo'

Presentazione inaugurale da Francesca Brandes, poeta e saggista d'arte :

 

Gli arabi lo chiamano Zarquà, “torrente blu”. Per gli ebrei è lo Jabbok, “fiume che scorre”, si spande per le colline di Giordania, come aroma da un vaso antichissimo e prezioso.

Giacobbe si è svegliato di notte e ha fatto passare i suoi al di là del guado, le due mogli e le due serve, gli undici figli e gli armenti. Sa bene che il fratello Esaù lo minaccia da vicino; gli ha mandato contro quattrocento uomini, e non per portargli pace. Forse vuole ucciderlo, o almeno rubargli il gregge.

È solo, sulla riva del torrente blu, e sta per intraprendere la lotta più difficile della sua vita.

Giacobbe rimase solo – è scritto – e un uomo lottò con lui fino all’apparire dell’alba.

Ish, un  uomo quindi, apparentemente nominato nel racconto biblico come “uomo”, e non D-o, e non Signore: Ish, chissà da dove è giunto, dalle sue spalle, dai cespugli neri come pece, o dal cielo colmo di stelle … Davvero ha afferrato Giacobbe in una morsa, o è solo la sua immaginazione? Eppure, quando tutto sembra perduto, l’essere si arrende, o almeno pare: Lasciami andare – gli dice – perché spunta l’alba. Perché mai una simile lotta? Forse perché, dopo quella notte, Giacobbe non sarà più lo stesso. Prima di svanire, l’entità gli ha mutato il nome: Il tuo nome non sarà più Giacobbe, ma Israele, poiché tu hai lottato con D-o e con gli uomini, e hai vinto …

Non un solo uomo, quindi, ma molti. Forse l’essere misterioso è D-o stesso, o un messaggero da D-o inviato.

Questo è un testo scomodo, a suo modo inquietante. Per quale ragione D-o si farebbe avversario, quasi un nemico sbucato dall’oscurità, terribile, implacabile? Come se non bastasse, alla fine l’Onnipotente si rivela debole; persino un pastore come Giacobbe può resistergli, anche se l’essere lascia in lui un segno indelebile, una slogatura dell’anca che lo renderà claudicante per sempre. E poi lo benedice. Anche Giacobbe chiede il nome allo sconosciuto, che risponde alla domanda con un’altra domanda, come sempre avviene nella tradizione ebraica.

Davanti all’enigma dello Jabbok non c’è soluzione, solo stupore. In ogni destino umano si rinnova l’angoscia notturna di Giacobbe; talvolta, di fronte all’acqua blu della solitudine, giunge improvvisa la luce. Pur negli esiti diversissimi, le interpretazioni del passo sono concordi su un punto: il D-o che si manifesta nella lotta non è un principio trascendente e lontano. È prossimo, a portata di mano. È l’immanenza che abita la Storia, che scuote, provoca e ferisce. Inevitabile che un racconto tanto strano abbia colpito l’immaginazione e la sensibilità degli artisti che ad esso si sono ispirati.

La visione di Marie Malherbe, in questa mostra coerente e raffinata, privilegia alcuni elementi introspettivi, secondo lo spessore intellettuale che le è proprio, coniugandoli con un colore cristallino che possiede la luminosità del diamante. Di tutte le mostre di Marie che ho avuto il piacere e l’onore di vedere, questa si precisa per una maturità di tratto e una chiarezza progettuale incredibili: non è lotta, ma danza, quella tra Giacobbe e ciò che Marie sceglie di chiamare “angelo”, danza di resistenza, di equilibrio, ma soprattutto danza di riconoscimento. L’attribuzione dell’identità, oltre, al di là dell’eroe, addirittura al di là dell’Onnipotente, passa appunto per il riconoscimento del limite, della nostra debolezza. Passa per quella ferita. Come se – sembra suggerire l’artista – fosse a partire da lì che si può costruire la propria specificità, la propria affermazione.

Parafrasando una citazione cara alla mistica cristiana del monte Athos, per quest’artista si potrebbe sostenere che lo scopo del fare arte, del disegnare, del dipingere è quello di mantenere imperturbata l’unione dell’essere umano con il divino amore e la pace. Marie Malherbe è sempre centrata sulla verticale psichica che regge tutta la sua esile, angelica figura, eretta ed assieme abbandonata al gesto che crea, perfettamente in sé. È in lei quella terza dimensione di cui parla il filosofo del monoteismo Heschel: Noi non viviamo soltanto nel tempo e nello spazio, ma anche nella consapevolezza del divino.

È lo stile dei contemplativi, che solleva all’orizzonte della visione ogni esperienza. All’artista è dato di danzare, come Giacobbe con il proprio angelo, come ciascuno con il proprio angelo. La musica, quella, è indicibile. Risuona nell’Aperto, come in Sofferte onde serene di Luigi Nono, una risonanza senza tempo. È come ascoltare il vento – diceva Nono – ascolti qualcosa che passa, ma non senti l’inizio, non senti la fine, e percepisci una continuità di lontananze, di presenze indefinibili. Quasi, potremmo aggiungere, il battito d’ali degli angeli.

 

Francesca Brandes, Venezia, 28 ottobre 2016

 

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Danse avec l'Ange

Aggiunto il 26 ott 2016

Un ciclo pittorico sul tema dell'Angelo e del sacro nel ballo.

presentato da Francesca Brandes

Galleria LA BIZNAGA
Fondamenta Tolentini
Santa Croce 167
Venezia

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"Back to Paradise" istallazione presentata a Palermo per la Biennale Internazionale d'Arte Sacra Contemporanea BIAS 2016 in Palermo

Aggiunto il 8 set 2016

La Biennale Internazionale d’Arte Sacra Contemporanea (BIAS) di Palermo
presenta nell’ambito del tema 2016 « La Creazione » :


Back to Paradise
Istallazione pittorica da Marie Malherbe

Oratorio San Mercurio
Palermo
curatrice : Chiara Donà dalle Rose

Questa istallazione invita ad una riflessione sulla Creazione esperimentata dal punto di vista del giardino originario. Presentata nell’oratorio di San Mercurio, dialoga con la delicatissima majolica settecentesca del pavimento, fatta di motivi floreali e di ucelli che si ritrovano nella stessa opera, la quale ne diventa come un’eco verticale, per creare un’istante pluridimensionale di armonia, abbondanza e pace che mira a risvegliare la memoria intuitiva del Paradiso… e forse ritrovarne qualche porta interiore.

Questo polittico è una libera interpretazione pittorica della struttura spazio-simbolica del Paradiso secondo la Genesi. Propone due percorsi di lettura : orizzontale e verticale, entrambi alla ricerca del centro, centro da dove tutto il cosmos viene qui osservato, e capace di condurre « back to Paradise ».

Il percorso orizzontale dell’opera abbraccia 5 pannelli concentrici che, all’imagine dei polittici medioevali e rinascimentali, conducono lo sguardo dall’esteriore all’interiore. Questa dinamica centripeta viene esasperata col fatto che i pannelli siano sempre più lunghi e quindi sempre più pesanti man mano che si va verso l’interno. Traduce una doppia gradazione :
La prima è una gradazione formale dal CHAOS all'ORDINE. Le forme astratte dei pannelli esteriori (idee) lasciano poco a poco apparere delle forme ed elementi sparsi nei pannelli intermediari (cellule), i quali poi si combinano per dare nascita ad organismi complessi nel pannello centrale (alberi). Questo progressivo ordinamento del chaos parla non solo dei primissimi versi della Genesi, o dell’apparizione progressiva della vita secondo le scoperte scientifiche, ma anche della dinamica archetipale di qualsiasi processo creativo.
La seconda è una gradazione di scala, dal MACRO- al MICROCOSMO. Questa rispecchia la progressione simbolica del primo capitolo della Genesi, dalla creazione della luce e del firmamento oltre la Terra (pannelli esteriori, più minerali) a quella della vita sulla Terra (pannelli interni, più vegetali ed animali), per in fine portare lo sguardo nel cuore di un luogo preciso e speciale simbolizzato dai due alberi del pannello centrale. Si tratta del primissimo spazio terrestre evocato nella Torah/Bibbia : il famoso giardino dell’Eden o Paradiso. La descrizione di questo Paradisum voluptatis, subito nel capitolo II della stessa Genesi, è breve ma altamente simbolica. Individua solo quattro fiumi (dei quali i quattro pannelli laterali sono anche una evocazione) e due alberi : l’Albero della Vita e quello della Conoscenza del Bene e del Male, precisando che almeno il primo venisse piantato al centro del giardino. La dinamica concentrica stessa dell’opera intende infatti presentatare il Paradiso come uno spazio non esteriore e lontano ma interiore e vicino, non nell’al-di-là ma nel qui-ed-ora. Delineati dai fiumi attorno e dall’intero cosmos, i due alberi vengono infatti presentati come un luogo protetto e chiuso, centro del centro, ossia centro per eccellenza dell’interiorità. Allo stesso tempo, ciascuna foglia d’albero rifleta motivi dello stesso macrocosmo, all’imagine di ciascuna entità del creato che si trova portatrice di informazioni complesse andando ben oltre se stessa (che si tratti di DNA per la piccola cellula, di grande ispirazione per l’essere umano, o di qualsiasi conoscenza intuitiva). L’opera è infatti costruita come un dialogo giocoso tra esteriorità ed interiorità, tra macro e micro, nel quale il primo si rispecchia nel secondo, e misteriosamente lo raggiunge. « As within so without ».

Il percorso verticale dell’opera aggiunge un’altro giocco di riflessi ancora, non più solo tra interno ed esterno, ma anche tra sù e giù, ponendo questa volta la domanda dell’onnipresente dualità nel creato -almeno secondo la comune percezione umana. Dualità del caldo e del freddo, dell’alto e del basso, del chiaro e del buio, del maschile e del feminile, del conscio e dell’inconscio, del visibile e dell’invisibile, che tutti quanti si possono riassumere nella famosa dinamica creatrice del yin e yang… Ma il testo giudeocristiano di riferimento ci parla qui’ di una dualità molto più problematica, e questo fin dal capitolo II : quella dei cosidetti « bene » e « male ». Infatti nel cuore stesso del giardino originario viene subito sottolineata una doppia dualità : quella dei due alberi, e dentro al secondo quella del bene e del male. Il pannello centrale è un’invito a ‘riflettere’ (anche li’ nel doppio senso della parola siccome si potrebbe anche trattare di riflesso) su questa famosa e misteriosa dialettica del bene e del male. Affrontata dai più grandi filosofi di ogni generazione e cultura, continua ad interrogare ciascun essere umano, qualsiasi la sua appartenenza religiosa o a-religiosa. Il contributo interessante della Genesi è che contrariamente al bene/buono che viene subito e ripetutamente evocato fin dai primissimi versi (‘…e Dio vide ch’era buono’), il male non viene mai ‘introdotto’ in se, ma solo dopo il racconto della Creazione e solo abbinato col bene – precisamente tramitte l’evocazione di quel famoso albero ‘del Bene e del Male’. Come se il male fosse da capire non tanto come una realtà in sè ma piuttosto come una specie di riflesso/doppio/ombra/negativo/caricatura/bozzo del bene, che alcuni vedono addirittura come un bene incompiuto. Comunque un sotto-prodotto (o ante-prodotto ?) intrinsequemente legato a un determinato bene -che quel bene si veda o meno. E’ interessante notare che questa interpretazione raggiunge alcune filosofie orientali. Infatti i due alberi vengono qui’ dipinti come radicati in un solo ed unico centro, fonte di quel che potrebbe essere i due aspetti di una stessa realtà. Il Male rimane un grande mistero. Ma a volte basta poco perchè il « male » più spettacolare generi del « bene » e vice versa : all’imagine delle sfere celesti che annullano le nozioni di alto e basso, « As above so below ».

*
Questa opera puo’ essere vista come un giocco di riflessi multidimensionali, od ascoltata come un concerto silenzioso per frutto ed orchestra, nel quale il giardino intero risponde al (o del ?) fiore più piccolo. La Creazione, complessa e tuttora in corso di creazione, è sempre in movimento, e spesso capovolgente. Questi alberi a specchio sono pero’ un invito a tenere presente l’Unità vertiginosa che, al di là della dualità nella quale inciampa l’intendimento umano, è anche iscritta al suo modo nella Creazione,
Un invito quindi a ricordarsi che il Bene e il Male, come l’Alto e il Basso, spesso danzano asieme. Forse il ‘peccato originale’ non è altro che la pretesa di poter riconoscerli definitivamente e giudicare gli altri, se stesso, e a volte Dio stesso ? E’ misterioso ma alcuni saggi quà e là riescono, dietro alle tante apparenze duali, ad accogliere la Creazione come irreduttibilmente Una. Indicono come via quella di lasciarsi sempre più attrarre (ed insegnare) dal centro, che ciascuna potrà nominare come gli pare, ma che di sicuro indica la porta per ricrearsi ogni istante nell’intimissimo e pero’ universale Paradiso interiore…

Marie Malherbe, Settembre 2016

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"Back to Paradise" à la BIAS 2016 - Oratoire San Mercurio, Palerme

Aggiunto il 7 set 2016

BACK TO PARADISE

* pour une cartographie excentrique et concentrique du jardin intérieur *

par Marie Malherbe.

Curatrice : Chiara Modica Donà dalle Rose.

Accueil et visites : Caterina D'Andrea et Leandra Mastrilli.

Cette installation invite à une réflexion sur la Création observée du point de vue du jardin originel. Elle est exposée à l’oratoire San Mercurio du vieux Palerme, récemment restauré, où elle dialogue avec la délicate majolique du Settecento qui dessine au sol un surprenant hortus deliciarum. Motifs végétaux et oiseaux de paradis parcourent en effet les deux œuvres, lesquelles apparaissent comme un prolongement l’une de l’autre. Le jardin vertical répond au jardin horizontal pour créer un instant pluridimensionnel d’harmonie, d’abondance et de paix visant à réveiller la mémoire intuitive du Paradis…et peut-être en retrouver quelque porte intérieure.

Libre interprétation picturale de la structure spatio-symbolique du Paradis rapportée dans la Genèse, ce polyptyque se propose en outre d’explorer deux énigmes. La première se déchiffre selon un axe de lecture horizontal et concerne, derrière le récit de la Création archétypale, la nature même de tout processus créatif. La seconde suit un axe de lecture vertical et traite de la dualité apparemment omniprésente dans toute (la) Création. Les deux axes se rejoignent en une unique recherche du Centre, point de passage obligé du cheminement « back to Paradise ».

*

La lecture horizontale de l’œuvre, embrassant ses 5 panneaux concentriques de plus en plus larges et donc de plus en plus lourds au fur et à mesure que l’on s’approche du centre, révèle une dynamique globale centripète conduisant le regard de l’extérieur vers l’intérieur. Ce mouvement traduit une double gradation :

La première est une gradation progressive du CHAOS à l’ORDRE. Les formes abstraites des panneaux extérieurs (idées) laissent peu à peu apparaître des éléments épars dans les panneaux intermédiaires (cellules), lesquels s’assemblent enfin dans le panneau central pour donner naissance à des organismes complexes (arbres). Cette progressive mise en ordre du chaos, qui traduit certes les tout premiers vers de la Genèse, mais qui sous forme poétique rejoint aussi l’esprit des théories scientifiques actuelles, illustre au fond la dynamique archétypale dont procède tout processus créatif.

La seconde est une gradation scalaire, du MACRO- au MICROCOSME. Elle reflète l’architecture symbolique du premier chapitre de la Genèse, depuis l’apparition de la lumière et du firmament au-delà de la Terre (panneaux extérieurs, plus minéraux) jusqu’à celle de la vie sur Terre (panneaux intérieurs, plus végétaux et animaux). Le terme de ce zoom progressif  est finalement le cœur d’un lieu tout à fait précis et singulier, premier espace terrestre décrit dans la Torah/Bible : le fameux jardin d’Eden ou Paradis.  La description de ce Paradisum voluptatis, qui apparaît dès le début du chapitre II de cette même Genèse, est brève mais hautement symbolique. Elle ne mentionne nommément que 4 fleuves (dont les 4 panneaux latéraux sont également une évocation) et surtout 2 arbres, sujets du panneau central : l’Arbre de Vie, et l’Arbre de la Connaissance du Bien et du Mal. On précise qu’au moins l’un d’eux est planté au centre du jardin : c’est donc bien d’une recherche du centre dont il s’agit. La dynamique concentrique même de la composition, version revisitée des polyptiques médiévaux et renaissance visant précisément à orienter le regard vers l’intérieur, entend présenter le Paradis comme un lieu non pas extérieur et lointain mais intérieur et infiniment proche, accessible dans l’ici et maintenant. Délimité par les fleuves comme par le firmament, le Paradis apparaît comme un lieu protégé et clos auquel l’ensemble du cosmos fait écrin, et qui fait écrin à son tour aux deux arbres singuliers qui fleurissent en son centre. Ces deux arbres symbolisent donc le centre du centre, ou centre par excellence de l’intériorité.

Le jeu d’échelles se complexifie si l’on remarque que chaque feuille d’arbre (microcosme) reflète et contient en elle-même un motif de l’univers entier (macrocosme). Chaque entité du monde créé est en effet porteuse d’informations qui dépassent infiniment les limites apparentes de son être (qu’il s’agisse d’ADN pour la cellule, d’ « inspiration » pour l’être humain, ou de toute forme de connaissance intuitive).

Ce travail, conçu et réalisé comme une sorte de concerto silencieux pour feuille et fruit, est à écouter comme un dialogue complice entre le jardin et la fleur, entre le global et le singulier, l'infiniment grand et l'infiniment petit, l'extérieur et l'intérieur, dans lequel le premier se reflète dans le second, et le rejoint mystérieusement. « As within so without ».

*

Sa lecture verticale fait entrer en scène des correspondances supplémentaires, accordant cette fois-ci non plus seulement l’intérieur et l’extérieur, mais aussi le haut et le bas. Picturalement, le haut et le bas désignent ici non pas le divin versus l’humain, mais la dualité omniprésente « ici-bas » dans le créé –du moins selon la perception humaine commune. Dualité du haut et du bas, du chaud et du froid, du clair et de l’obscur, du masculin et du féminin, du conscient et de l’inconscient, du visible et de l’invisible… toutes résumables dans la dynamique créatrice bien connue du Yin et du Yang. Mais c’est d’une dualité bien plus problématique que parle l’Écriture judéo-chrétienne, et ceci d’entrée de jeu : celle du « bien » et du « mal » (« Dieu fit pousser du sol toute espèce d'arbres séduisants à voir et bons à manger, et l'arbre de vie au milieu du jardin, et l'arbre de la connaissance du bien et du mal » Gen, 2 :9). Le cœur même du Jardin originel est donc bien inscrit dans deux dualités successives : celle des deux arbres, puis encore celle du bien et du mal au sein du second. Déjà affrontée par les plus grands penseurs de toutes générations et cultures, cette fameuse dialectique du bien et du mal ne cesse de se poser à tout un chacun, quelle que soit son appartenance religieuse ou a-religieuse. C’est sur son mystère que le panneau central invite à « réfléchir » (au sens double de réflexion et de reflet).

Car il pourrait bien s'agir de reflet. La contribution judéo-chrétienne a en effet ceci d’intéressant que contrairement au « bien/bon » évoqué dès les tout premiers versets et de façon répétitive (« Et Dieu vit que cela état bon »), le mal n’est jamais introduit en soi dans la Création, mais seulement après son achèvement narratif, et simplement couplé au « bien » déjà évoqué –précisément à travers l’arbre « du Bien et du Mal ». Le mal est-il à comprendre comme un simple reflet ? un double ? une ombre ? un négatif ? une caricature ?  une esquisse ? un brouillon ? un raté du bien ? Tout se passe comme s’il n’était pas une réalité en soi mais plutôt une sorte de sous-produit par rapport au bien, voire d’« ante-produit » pour certains qui n’hésitent pas à l’interpréter comme un bien inaccompli. Le mal apparaît en tous cas comme intrinsèquement et mystérieusement lié au bien, que ce bien soit visible ou non. Il est intéressant de noter que ce type d’interprétation n’est pas sans rejoindre certaines philosophies orientales. C’est ainsi que les deux arbres sont peints ici comme enracinés dans une seule et unique source, rendue visible par une cartographie symbolique du Paradis observé depuis son centre, selon une projection polaire qui serait centrée sur les racines des arbres. Cette cartographie d’apparence « excentrique » mais de nature en réalité concentrique, tend à montrer la symétrie ontologique entre, sinon le bien et le mal, en tous cas le haut et le bas. « As above so below ».

*

Cette installation propose d’entrer dans un jeu de reflets multiples entre ce qui pourrait être les deux aspects d’une même réalité encore en cours de création. Le « Mal » demeure un grand mystère. Ces arbres en miroir invitent toutefois à garder à l’esprit la vertigineuse Unité qui, au-delà de la dualité sur laquelle butte l’entendement humain, est aussi inscrite à sa manière dans la Création. Il suffit parfois de peu pour que le mal le plus effrayant génère du bien, et vice versa, à l’image du cosmos dont les révolutions et l’immensité abolissent les notions de haut et de bas. La Création, toujours en mouvement, est souvent renversante.

Le bien et le mal, comme le haut et le bas, dansent ensemble plus qu’il n’y paraît. C’est un mystère mais quelques sages ici ou là semblent parvenir à intégrer les multiples apparences duales et à vivre la Création comme irréductiblement Une. Le chemin qu’ils indiquent est de se laisser attirer et enseigner par le Centre et origine de tout. À chacun de le nommer à sa guise ; il demeure la porte du Paradis intérieur, franchissable à chaque instant pour se recentrer et reconnecter « back to Paradise »…

Marie Malherbe, août 2016

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"A Sacred Covenant" / "Una Sacra Alleanza"

Aggiunto il 5 ago 2016

Exposition pour le 500e anniversaire du ghetto de Venise

Le thème de l’ALLIANCE est au cœur de l’histoire initiatique du peuple juif, et de ses écrits sacrés. Alliance gratuite et improbable entre le divin et l’humain, entre le Créateur et la créature ; Alliance cent fois bafouée, et cent fois restaurée sous des formes toujours nouvelles, manifestant inlassablement que le Très-haut désire s’allier au Très-bas en de renversantes noces verticales.
Alliance singulière sans doute, mais surtout singulièrement incomprise. Levain dans la pâte, force qui à travers le singulier fait lever le Tout, elle ne saurait être la propriété communautaire d’une ethnie à l’exclusion des autres, mais féconde tout acte de quiconque se reconnait de ce lien à vocation universelle.
Ce travail propose une lecture intérieure et poétique de l’Alliance, non pas comme récit historique, mais comme écho à ce patient éveil de l’être, par l’engagement fidèle… à assumer sa divine Liberté.

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A Midsummer Night's Scream - Un Cri dans le Ghetto

Aggiunto il 30 lug 2016

(Réflexion sur le 'Marchand de Venise' dirigé par Karin Coonrod pour les 500 ans du Ghetto et 400 ans de la mort de Shakespeare)

 

Le Ghetto ce soir est de sortie.

Sortie étrange, à l'envers, vers l'intérieur de son histoire.

Les gradins en barres métalliques

dessinent des cercles concentriques

comme un cosmos

en révolution

dans la prison de sa mémoire.

Au milieu du ghetto la place;

au milieu de la place la scène;

au milieu de la scène le puits

rond lui aussi

comme le temps qui s'apprête à tourner

autour des lumières, des arbres et des mots.

 

Tout commence comme un plaisant divertissement d'été

pour public instruit comme il faut.

Fébrilité de l'avant-fête

sur les dalles antiques où résonnent

les bottes des carabiniers et les talons italiens

des élégantes. On se pâme, on parle, on soupire

en attendant Shakespeare.

Cigales excitées et buveurs bavards

continuent leur sérénade tandis que gesticulent

en préambule

des saltimbanques d'un autre temps.

 

Puis au milieu des synagogues, des jeux d'enfants et des maisons

la trompette d'un homme en noir

emplit le ciel comme un chophar

-a-t-on sonné l'heure du Pardon ?

 

Les badauds interdits s'arrêtent

pour déguster quelques bons vers

suspendus à la nuit dense,

on regarde encore quelques danses...

quand tout à coup

jaillit de la nuit

le CRI.

 

On te croyait d'une autre époque

mais tu pleures encore Shylock ?

 

Hurle sauvage, sanglot terrible,

râle total et viscéral

à faire tordre les muscles des pierres

et la chair torturée des maisons 

qui en rond

gardaient les trous de mémoire.

Aboi qui déchire l'histoire;

qui fouille dans les entrailles

de ces trop fameuses murailles;

qui tonitrue et puis se tait.

 

Silence nouveau

sur le campo

léger comme après l'orage...

Accouché du fond des âges

le ghetto a crié son Nom.

 

Les corps qui bougent,

les lumières rouges

tout s'accélère et la spirale

s'inverse

enfin ce soir on peut sortir

des bourreaux et des martyrs,

car le procès n'est pas fini

et son nom est MERCY.

 

Mercy Merci

Colombari

par votre farce libératrice

le ghetto crie ses cicatrices

et marche vers sa guérison.

 

Marie Malherbe, Venise, 30 juillet 2016

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"La Flûte de la Salute" concert-spectacle jeune public présenté au Casino Venier par l'Alliance française de Venise.

Aggiunto il 23 feb 2016

Interprète : Sandrine François, flûte solo de l'Orchestre Philarmonique de Strasbourg. Textes et décors : Marie Malherbe.
 

Intention : La Flûte de la Salute est un conte poétique sur la dépression et sur la joie, sur le pouvoir de l’amitié et de la musique, et sur le processus créatif en général. Sous une forme onirique mais simple puisque destinée aux enfants, il évoque des questions profondes, ce qui l’apparente au conte initiatique. Sa substance offre plusieurs niveaux de lecture. En voici deux.

*

C’est d’abord un hommage à une flûtiste et personnalité d’exception, Sandrine François, entendue pour la première fois lors d’un concert à Venise. La Flûte de la Salute, c’est elle. C’est cette fragilité des êtres sensibles, sublimée par cette force mystérieuse et exigeante des vrais artistes. C’est cette capacité à ressentir le gouffre de l’existence et, par là-même, à aller chercher du souffle en l’altitude.

Cette verticalité radicale de la vie artistique, Sandrine l’incarne de façon magistrale, car elle vole. Pas seulement avec sa musique ; elle vole pour de bon. A ses heures perdues, la belle flûtiste est aussi pilote d’avions ! Elle dit qu’elle a besoin d’air, besoin de hauteur pour supporter la lourdeur de la terre, et même pour jouer sa musique. Comment ne pas voir que concentrée aux commandes de son avion, c’est son propre oiseau de feu qu’elle rencontre, qu’elle apprivoise et qu’elle nourrit ?

C’est chose rare, et pourtant quoi de plus naturel qu’un joueur de flûte qui vole : n’est-il pas un peu oiseau lui aussi ? Comme l’oiseau, il est ce microcosme de fragilité et d’agilité, où le jeu du souffle et d’une infinité de petits muscles rigoureusement maîtrisés peut produire des mélodies étourdissantes de grâce. La grâce, c’est bien dans son cher Ciel qu’inlassablement Sandrine va la puiser, avec les ailes de son avion ou de son instrument, et qu’avec passion elle nous la traduit et nous la chante, sublime, au creux de l’oreille.

A travers l’histoire singulière d’une flûtiste étonnante, ce conte évoque avec simplicité et délicatesse cette aspiration de tout artiste -et de tout enfant- au feu absolu, à l’air absolu ; cette nostalgie de l’espace, cette intuition viscérale que tout est Souffle, et que si l’on inspire du grand Ciel, on peut faire dire de grandes choses à une toute petite flûte.

D’autant que cette flûte-là est en or, assortie à sa musique… et à l’oiseau qui la fait chanter.

 

*

 

La Flûte de la Salute est aussi un petit conte cosmique -presque alchimique. C’est de l’eau qui, en intégrant successivement la terre, l’air et le feu, se transforme en or, en musique et en beauté.

Venise, c’est le monde de l’eau, les flots de nos émotions. L’aqua alta, c’est le débordement de cette émotivité, quand celle-ci sort des canaux qui lui sont impartis, et envahit notre maison intérieure, tous les étages de l’être, jusqu’à en paralyser le fonctionnement.

La Flûte malade est l’expression de ces débordements. Son rhume rappelle les symptômes typiques du chagrin : éternuements, nez qui coule, yeux qui pleurent : un trop-plein d’eau et d’émotions. Sa respiration est cassée par la toux, elle a perdu son souffle. Elle ne peut donc plus jouer, ni dire ce qu’elle a à dire. Elle n’a plus accès à l’air, ni au son ; elle est ce petit oiseau brisé qui ne peut plus ni voler ni chanter.

Les deux enfants Lucie et Léo, c’est l’éveil, la curiosité envers la vie et les autres, l’écoute. Ils sont à l’aise avec les émotions : leur petite gondole leur permet de flotter sans jamais sombrer, et même de se déplacer à leur guise en glissant sur les eaux avec souplesse -car en bons Vénitiens ils savent ramer. Même à marée maximale, Léo circule en toute liberté, ouvert et joyeux -contrairement aux adultes qui s’inquiètent et se fâchent- car le petit gondolier a intégré le fait que dans la vie il y a des hauts et des bas, des vagues, et que tout est mouvant. 

L’Oiseau de Feu, c’est le feu créateur. Il est chez lui aussi bien dans la matière terrestre (il habite dans un jardin) que dans les airs, où il voltige en maître. Il fait le pont entre les deux, à l’image du feu qui transforme la matière et aspire à l’air. C’est lui qui permet à tous les protagonistes de passer de l'un à l'autre, de prendre de la hauteur, de s’élever bien au-dessus de la marée des émotions, au-delà des eaux lagunaires, et même de l’eau suspendue des nuages, pour atteindre cette altitude où « le ciel est toujours bleu ».

C’est un guérisseur qui sait comment réaligner ce qui est « de travers ». Il montre à la Flûte comment se reconnecter à son propre pouvoir créateur, à son feu sacré et éternel, et par là comment retrouver son Souffle. Il lui redonne goût à la vie, à la nourriture qui est bonne pour elle, et qui n’est autre que toute la beauté qu’elle a offerte au monde, toute la musique qu’elle a déjà créée et projetée dans le cosmos.

Esprit libre et vivifiant, c’est aussi un maître à voler pour ce petit oiseau blessé. A la manière d’un passeur, il lui fait franchir ces confins de l’être où, sous l’effet du feu, l’eau et les larmes se transforment en air et en Souffle. Alchimiste à sa manière, l’Oiseau de feu transmute le trop-plein d’eau en or. C’est pourquoi le voyage initiatique à l’ombre de ses ailes n’a pas de durée chronologique, il dure « un jour et un âge », dans une éternité qui transcende le temps.

Riche de cette expérience d’éveil et de guérison, la Flûte redescend sur terre avec un supplément d’âme qui va faire toute la magie de son concert. Elle va pouvoir donner beaucoup plus que si elle n’avait jamais été malade, puisqu’à travers sa transformation, elle a goûté et ingéré des morceaux de Ciel. Son parcours l’a non seulement rétablie et grandie : il a aussi rétabli l’harmonie dans tout le cosmos. Les eaux lagunaires reprennent leur place, à l’image des eaux intérieures. N’est-ce pas là la mission personnelle et cosmique de tout homme, et en particulier de tout artiste : assumer l’eau, nourrir le feu, puiser dans le Ciel et redescendre sur terre pour y dire « la vie du firmament » ?

Marie Malherbe, février 2016

 

Synopsis : voir

http://www.pippa.fr/La-Flute-de-la-Salute
http://www.parutions.com/index.php?pid=1&rid=17&srid=107&ida=11847
http://www.paperblog.fr/5636870/la-flute-de-la-salute-marie-malherbe/

http://www.ricochet-jeunes.org/livres/livre/40853-la-flute-de-la-salute

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L'Albero interiore

Aggiunto il 19 gen 2016

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